giovedì 11 aprile 2013

Perché NO TAV

Riceviamo e pubblichiamo
Fra gli impatti cosiddetti transitori rientrano quelli dei cantieri per la costruzione dell'opera. I progetti stimano circa 10 anni di durata, ma è ben prevedibile che per ritardi, imprevisti, mancanza di fondi i cantieri rimangano insediati per almeno il doppio; anche peggio se si dovesse procedere per lotti costruttivi. Transitorietà, ma di un ordine di grandezza paragonabile a quello di una generazione.
Lunghi anni di cantieri in cui gli abitanti dovrebbero convivere con polvere, rumori e compromissioni delle acque generati da scavi e produzioni di cemento rapportate alle dimensioni faraoniche dell'infrastruttura, con gli inquinamenti acustico ed atmosferico dovuti a milioni di viaggi di grossi camion, con la costante congestione del traffico su di una viabilità ordinaria "modificata" ed ostacolata .Stando alle previsioni contenute nel progetto preliminare 2010 della tratta internazionale, le opere su suolo italiano inizierebbero nel 2013 per concludersi nel 2023; i Francesi completerebbero però la loro tratta nazionale soltanto nel 2035: in tutto, dunque, 22 anni dall'avvio.
Ma in tutti i casi delle tratte TAV italiane già costruite c'è stata una notevole dilatazione dei tempi: d'altronde è dimostrato che questo fatto corrisponde ad un preciso tornaconto del General Contractor, privilegiato responsabile unico di costo e durata dei cantieri.
Inoltre la sempre più marcata indisponibilità di fondi statali da dedicare a questa, come ad altre opere, nel caso della Torino-Lyon praticamente obbligherebbe a procedere ad una costruzione per lotti, peraltro già teorizzata dal Commissario straordinario. Si farebbe un pezzo alla volta, dunque, man mano che si trovano le risorse: sappiamo cosa significhi questo metodo; ci sono molti esempi nel nostro Paese, uno su tutti la A3 Salerno-Reggio. L'emorragia del debito pubblico protratta indefinitamente... Tutto ciò si ripercuoterebbe pesantemente sulle produzioni locali, ma soprattutto sulla salute, per la quale i pericoli gravi deriverebbero dagli inquinanti emessi: è stato calcolato che ossidi di azoto, polveri sottili e sottilissime immessi in atmosfera potrebbero, da soli, portare in Val Susa un incremento di 20 morti all'anno. Ma i rischi maggiori deriverebbero dall'estrazione e trattamento di rocce che in alcuni tratti contengono amianto ed uranio.

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