di Angelo Mancini
Le battaglie più cruente, più terribili, sono quelle che si combattono all’interno del proprio sé. A volte far trionfare la giustizia significa rimetterci; tutti vivono questo dilemma che è poi l’essenza dell’essere una individualità inserita in una collettività. Ecco il motivo per cui assistiamo a comunità prive di cittadini dove l’unica cosa che unisce i suoi membri è la mancanza di interessi comuni. La fine dell’ideologia ha coinciso con l’affermazione dell’ideologia più potente che si possa immaginare, quella che si identifica con la realtà e con una visione delle relazioni interpersonali basate sull’utilitarismo. La politica è diventata perciò superflua rispetto a gruppi e a cordate economiche volte a massimizzare l’interesse di parte rispetto a quello della collettività.
Il più delle volte si è portato ad attribuire alla politica tutte le disfunzioni, le carenze, i ritardi che affliggono una comunità, confondendo in questo modo la causa con l’effetto. La politica, il potere, è un prodotto della società. Il credere che non sia così è solo un espediente consolatorio, un autoinganno, un piacevole e narcisistico autocompiacimento della propria superiorità . Nel buio anche un lumicino si sente una stella!
Ciò che serve, allora, non è tanto cambiare la politica o le forme di potere, ma cambiare il rapporto che lega l’individuo con il suo essere persona sociale, l’individuo con il suo essere “cittadino”. In ogni epoca e in ogni latitudine c’è stato un potere espresso con modalità diverse; la grande invenzione del mondo occidentale, greco-romano, è stata la figura del “cittadino”, di un individuo che si riconosce di appartenere a una comunità politica, al suo sistema di diritti e di doveri a prescindere da appartenenze familiari sociali e economiche e di riconoscere gli altri come con-cittadini. Oggi questa forma di identità è scomparsa. Ci sentiamo cosmopoliti, europei, italiani, rimarcando un’appartenenza a organismi globali e non più a una comunità politica e sociale. Prima il cittadino poteva esistere solo all’interno della sua comunità di appartenenza che rappresentava nel medesimo tempo la sua identità, la sua autorealizzazione, la protezione e il fine. Oggi l’individuo è portato alla condivisione momentanea di esperienze, situazioni col preciso intento di essere solo “partecipante”. Se, dunque, il cittadino esiste solo se c’è una comunità, compito prioritario di ogni persona è quello di autorealizzarsi come cittadino costruendo una comunità come luogo virtuoso, omogeneo, non discriminante dove può definitivamente realizzarsi. Sentirsi cittadino di una comunità, percepire gli altri come concittadini è il primo momento di cambiamento da far insorgere in ognuno di noi nella nostra piccola comunità. Bisogna arrivare alla consapevolezza profonda che non è una sommatoria di “Io” che produce un “Noi” , ma il loro essere in relazione, il loro integrarsi. Se non c’è cittadino senza comunità, non c’è neanche benessere individuale senza il benessere della comunità. Ricercare il benessere della comunità diventa la condizione necessaria e fondamentale per il benessere di ciascun membro. A questo scopo concorre la politica. Nel sociale ci sono varie aree di politicità: generazionale, ideologica, sociale, economica, intellettiva, parentale, ognuna con le proprie incapacità a oltrepassare i propri confini. Ma la comunità è una e allora la domanda che si pone è: quali sono i comportamenti intellettuali e pratici che una persona deve avere per fare politica? La risposta è semplice: la politica va concepita come un’invenzione nel senso di un “saper fare” per realizzare condizioni concrete di promozione del benessere sociale in una pluralità di relazioni e di saperi dominati dall’esperienza . Questo significa far prevalere la logica della politica rispetto alla logica del potere, la logica della comunità armonica rispetto alla logica della contrapposizione violenta e distruttrice, la logica di guardare al presente rispetto alla logica di chi vuole privarcene invitandoci a guardare ad un futuro vago e lontano , indistinto e per questo vuoto, la logica di chi ci nutre di menzogne perché la realtà è difficile da mandar giù, la logica di chi non vede la trave nel proprio occhio perché con essa ci si è costruito il proprio trono.
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