Il 2012 è stato per tutti un anno difficile:
nessuno lo rimpiangerà, ma tutti dovremo ricordarlo perché segna una svolta per
la nostra democrazia.
E’ stato l’anno del governo tecnico, di un
ministero nato per reperire risorse che i precedenti governi avevano dilapidato,
delle riforme disattese, della crisi del mercato del lavoro, della crisi dei
partiti politici, del bisogno crescente di una politica altra da quella che
abbiamo conosciuta e vissuta in questi anni.
Innanzitutto il governo Monti. Come già in
altre occasioni, si ricorre ai tecnici per evitare l’impopolarità dei tagli e
dell’aumento o introduzione di nuove tasse, fidando sulla memoria corta dei
cittadini e sulla propaganda demagogica volta ad addossare a tutto e agli altri la
responsabilità della crisi.
Questo ministero, però, segna uno spostamento
in avanti nella limitazione della democrazia: pezzi di finanza, del sistema
bancario, del mondo produttivo, superburocrati, in accordo con esponenti
politici, stanno lentamente alienando la sovranità al popolo trasferendola a
entità non delegate dai cittadini, come già avviene a livello regionale con
assessori non eletti, ma nominati. Un governo tecnico non è un governo “neutro”
come la formula induce a credere, ma espressione, rappresentanza di oligarchie,
interessi ed altro.
Riappropriarsi della rappresentanza diventa,
quindi, il primo imperativo per riaffermare la democrazia così come sancita
dalla nostra costituzione.
Questo dovrebbe essere la funzione dei
partiti, ma <<
i partiti di oggi sono soprattutto macchine di
potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei
problemi della società, della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi,
sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i
più contradditori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le
esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il
bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su
questo modello, non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne
promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di
correnti, di camarille, ciascuna con un «boss» e dei «sotto-boss.[…]
La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa
tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle
loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la
concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno
semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale
è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono
provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno
la questione morale andando alle sue cause politiche. (...) Quel che deve
interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in
Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi;
rischia di soffocare in una palude».
Non è Beppe Grillo o qualche demagogo qualunquista
di oggi che parla, ma è Enrico Berlinguer nell’intervista rilasciata a Eugenio
Scalfari il 28 luglio 1981.
Se a distanza di trent’anni le parole di
Berlinguer risuonano ancora attuali è segno che il sistema partitico attuale è
immodificabile, che abbiamo bisogno di un nuovo comitato di liberazione
nazionale pacifico e democratico per ripartire dallo spirito dei padri
costituenti.
Abbiamo bisogno, oggi più che mai, di
politica, di una visione nobile, per risolvere i nostri problemi sociali ed
economici; non abbiamo bisogno di politici e di questi politici e dell’unica
ideologia che sembra orientarli: l’interesse personale.
Ecco, allora, il perché alle resistenze a
cambiare la legge elettorale anche da parte di quelle forze politiche che di
quel cambiamento avevano fatto un cavallo di battaglia, risolto, poi, con
un’operazione di pura cosmesi quali sono le primarie.
Ecco il perché del triste andazzo dei “riposizionamenti”, dei cambi di
schieramento, delle ridiscese in campo, delle resistenze a “lasciare” a cui
assistiamo in quest’ultimo scorcio di legislatura .
La politica è diventato l’unico ascensore
sociale, in barba allo studio, alle competenze, al lavoro, ai meriti personali.
Forse il
“salire in politica” del professor Monti svela in modo inconsapevole
questa dura e indecente realtà.
Un’antica storiella cinese, allora, può
aiutarci a uscire dal baratro.
Una grande montagna proietta la sua ombra su
un villaggio. Per mancanza d’irradiazione solare, i bambini crescono rachitici.
Un bel giorno gli abitanti del paese vedono il più anziano di loro uscire dal
villaggio con in mano un cucchiaio di porcellana.
“Dove vai?” gli chiedono. Risponde:
“Vado dalla montagna”.
“Perché?”
“Per spostarla.”
“Con che cosa?”
“Con questo cucchiaio.”
“Ma tu sei matto! Non ci riuscirai mai!”
“Non sono matto, so che non riuscirò mai a
spostarla, però qualcuno deve pur cominciare.”
Il messaggio di questa storiella è chiaro: non
possiamo cambiare il mondo, però possiamo cominciare a farlo
Che il 2013 sia per l’Italia e per tutti i
cittadini l’inizio di questo cambiamento
Angelo Mancini
Analisi lucida, come al solito, quella di Angelo Mancini. Non è compito dell'analista creare gli strumenti politici per dotarsi "di un nuovo comitato di liberazione nazionale pacifico e democratico". Un sistema, tuttavia, che, "storicamente", si riconosce immodificabile, va abbattuto. Intanto, in attesa di mettere mano alla montagna, spostiamo il villaggio. Non votando per alcuno di questi noti lestofanti, ma per qualcuno che ancora se ne deve conquistare titolo e fama. Coraggio!
RispondiEliminaRaffaele Garofano