venerdì 13 novembre 2009

Mani in acqua

Il 4 novembre 2009, dopo un iter parlamentare durato due anni, il Senato della repubblica italiana ha decretato la privatizzazione dell’acqua: un bene pubblico, un dono della natura, che diventa un bene privato da sfruttare sia per fini politici che per quelli economici. Il surriscaldamento della terra, il crescente inquinamento, l’aumento della popolazione rendono questo elemento un bene sempre più prezioso, da controllare e gestire. Da tempo le grandi lobby politico- affaristico-economiche hanno intravisto nel controllo di tale risorsa una fonte di grandi guadagni e la legge approvata va nella direzione da loro auspicata.

Il governo Berlusconi già con l’articolo 23 bis della legge 133/2008 del 6 agosto 2008, mentre gli italiani erano sotto gli ombrelloni, aveva provveduto a regolamentare la gestione del servizio idrico integrato demandandola a imprenditori o società con gare da indire entro il 31 dicembre 2010.

Un anno dopo, il 9 settembre 2009, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge ( Fitto- Calderoni) che all’articolo 15 modifica l’articolo 23 bis della legge 133/2008 imponendo la gestione dei servizi idrici a imprenditori o società miste ( pubblico- privato), con un capitale privato non inferiore al 40% e la cessazione degli affidamenti della gestione a società interamente pubbliche e controllate dai comuni entro il 31 dicembre del 2011. Dal 1 gennaio 2012 le società pubbliche non potranno più gestire da sole l’erogazione di un bene essenziale e vitale qual è l’acqua. Per il cittadino al danno si aggiunge il sopruso legalizzato: la pessima e clientelare gestione del servizio idrico ad opera dei politici ha indotto gli stessi a ricercare parter privati per cercare di contenere i costi elevati da loro stessi prodotti per la loro scriteriata gestione.

Il PD, che da sempre si è mostrato favorevole alle privatizzazioni ( vedi Bassolino), ha proposto attraverso il senatore Bubbico un emendamento al decreto: l’acqua potrebbe essere gestita da privati, ma la proprietà resterebbe pubblica. L’emendamento è stato approvato e le coscienze sono lavate e pulite. La maggioranza, poi, ha approvato la privatizzazione dell’acqua con il voto contrario dell’opposizione che però, al contrario dei decreti sulla giustizia e dei guai giudiziari di Berlusconi, non ha alzato la voce, né ha dato risonanza mediatica all’accaduto.

La barca malridotta della nostra democrazia è, così, naufragata sullo scoglio delle sirene dell’alta finanza e la politica ha ceduto il suo primato al denaro!

Cosa possiamo fare noi cittadini? Innanzitutto, portare a conoscenza di tutti, anche attraverso petizioni, quello che sta accadendo per impedire che tale provvedimento venga approvato anche alla Camera. Chiedere, poi, alle regioni di ricorrere alla corte costituzionale per verificare la costituzionalità dell’articolo 15 del decreto legge Fitto- Calderoni.

Chiedere, infine, ai comuni:

  • 1) di indire consigli comunali sul problema dell’acqua;
  • 2) dichiarare l’acqua un bene di rilevanza economica per la comunità;
  • 3) fare la scelta dell’azienda pubblica speciale per la gestione delle acque.

Per il terzo punto si tratta di ritornare alle vecchie municipalizzate, ancora possibile, secondo giuristi, con l’attuale legislazione.

Se l’acqua è vita e la vita è un diritto inviolabile, allora l’acqua è un diritto fondamentale di ogni essere vivente e che per tale motivo non può in alcun modo essere appannaggio di pochi.

Angelo Mancini

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