di Angelo Mancini
Senza abbandonarci ai toni trionfalistici, sempre fuori luogo, dobbiamo riscontrare che anche queste primarie, per la scelta del nuovo segretario nazionale e regionale, hanno avuto una partecipazione elevata di elettori e iscritti al partito, ribadendo, ancora una volta, la necessità di un formazione politica progressista e attenta al sociale. Tre milioni di elettori rappresentano una vasta area di cittadini italiani che chiede cambiamenti concreti nell’etica pubblica, nelle regole sociali, nella protezione dei redditi più bassi, nella sicurezza sociale ed ambientale. Il PD, che pure in queste ore vive momenti delicati per i fatti di Castellammare e di Roma, ha avuto da questa consultazione popolare una iniezione di fiducia e questo è un dato da non trascurare affatto.
In questo le primarie hanno giocato indubbiamente un ruolo positivo; ma al di là di questo, le primarie servono realmente? Ci sono tra le varie anime del partito, a livello nazionale, regionale, provinciale e locale, notevoli punti di contrapposizione: è proprio utile e necessario aggiungerci anche quelle che inevitabilmente sorgono con le primarie? Non è forse meglio che i dirigenti si assumano in prima persona la responsabilità della scelta, anche in base alle indicazioni che provengono dai circoli?
L’affermazione alla segreteria nazionale di Pierluigi Bersani ha, poi, scongiurato un pericolo insito in questo meccanismo: il voto poteva ribaltare quello degli iscritti con esiti imprevedibili per l’unità e la stabilità del partito. C’era la concreta possibilità che Franceschini o Marino avrebbero potuto guidare il partito da posizioni di minoranza perché “incoronati” dal popolo delle primarie. Questo non è accaduto, ma bisogna scongiurare il pericolo che possa accadere in futuro.
Altro pericolo insito nel primariato è una deriva plebiscitaria, già intravista nell’insediamento di Veltroni, non in sintonia con un moderno partito occidentale. Bisogna evitare la “trappola populista”, come la definisce Alfredo Reichlin, per non contrapporre all’” Unto del Signore” l’”Unto del popolo”. Il cittadino che non vuole il primo difficilmente sceglierà il secondo, oppure preferirà l’originale alla copia. Plebiscitarismo e personalismo sono l’antitesi della democrazia e se questi sono gli ingredienti del berlusconismo, allora non possono essere i tratti salienti del Pd che a esso si contrappone.
Se poi si vuole un partito aperto non solo verso l’esterno, ma anche e soprattutto verso l’interno, allora bisogna eliminare l’anomalia delle liste bloccate: si critica aspramente, e a ragione, il tanto vituperato “porcellum” di Calderoni e poi si applica lo stesso perverso meccanismo in casa propria.Ritornare al sistema delle preferenze è, allora, il primo passo per immettere nel partito dinamismo, vitalità, istanze di novità , riportando la funzione partitica tra la gente, rimuovendola da quel limbo dorato delle “ sciagure ineliminabili”, come oggi la si intende.
Nel nostro piccolo Sannio abbiamo assistito ad un incremento di partecipazione rispetto alle primarie del 2007, nonostante la nascita e i primi due anni di esistenza abbastanza travagliati. La mozione Franceschini è risultata maggioritaria sia nel Sannio che nella nostra comunità guardiese anche se la mozione Bersani e quella di Marino hanno avuto affermazioni significative rispetto ai dati di partenza. Anche da noi, però, la personalizzazione della politica ha prevalso sulla qualità della proposta politica che è rimasta sullo sfondo come idealità male accordantesi con il realismo della sola conta numerica. Al nuovo coordinatore regionale Amendola va l’ingrato compito di eliminare “l’anomalia” campana che le troppe vicende negative hanno portato alla ribalta della pubblica opinione nazionale.
Il dato più significativo, per quanto riguarda la nostra cittadina, è la presenza di una consistente minoranza, come non si riscontrava da anni nel centro-sinistra guardiese. Il risultato dice che il divario è ancora consistente, ma per la prima volta essa è numericamente significativa, visibile e rilevante: si è uscito da una fase di partito personale e autoreferenziale e si è entrato in una fase di partito pluralistico, aperto a tutti coloro che sentono l’appartenenza ideale e non quella primaria di gruppo. Le liste di Bersani e di Amendola hanno avuto una buona affermazione andando complessivamente oltre il 20% dei consensi; la mozione Franceschini, largamente maggioritaria per l’assemblea nazionale, ha mostrato una differenziazione sul piano regionale e questo è un elemento che, pur inquadrandosi perfettamente nel gioco democratico, rompe quella unità d’area che qualche tempo fa era inimmaginabile. Anche la frantumazione dei consensi nelle diverse liste collegate alla mozione Bersani va accettata serenamente, senza dietrologie dannose: unire è un processo molto più laborioso che il dividere.
Ora la parola passa agli eventi!
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