Ricevo una insolita quantità di telefonate per effetto delle mie protocollate dimissioni da assessore della giunta Ciarleglio. Mi trovo obbligato a dare ragione di questa azione ad ogni amico che mi contatta. Ritengo, a questo punto, doveroso, prima che si diffondano interpretazioni capziose ed interessate, consegnare qualche riflessione aperta.
In una riunione del gruppo consiliare del PD con l’assemblea del partito, è scaturita la decisione di avviare un ampio giro di consultazioni per capire se ci sono le condizioni perché si ricomponga una maggioranza consiliare che consenta di portare avanti la consiliatura, atteso che lo sforzo prodotto dallo stesso gruppo per cercare di garantire comunque una azione amministrativa, anche da posizione di minoranza e dopo mesi di stallo, sbatte violentemente contro la realtà. (Sono stato contrario, a suo tempo, ad una soluzione del genere perché ritengo che la prima analisi delle questioni sul tavolo spetti a coloro che poi dovranno convivere per risolverle. Non si è potuto o voluto fare allora, ma anche in quest’altra ipotesi, alla fine, sempre a quel punto bisognerà arrivare). Alcune cose si sono fatte, sia pure con grande affanno, ma alla prova del dibattito in consiglio comunale sono miseramente naufragate: è il caso del piano per la dismissione di beni comunali che non è stato possibile approvare e che ha visto tra l’altro, tra i pareri sfavorevoli, motivazioni davvero stupefacenti; è il caso, da ultimo, della salvaguardia degli equilibri di bilancio e del riconoscimento dei debiti fuori bilancio che hanno visto /l’uscita, per dichiarati motivi personali, del gruppo “Guardia Libera” e, successivamente, l’abbandono da parte dei gruppi “UDEUR” e “Popolo della Libertà” con conseguente mancanza del numero legale e scioglimento della seduta,/come già ho avuto modo di scrivere.
1) Il tentativo posto in essere poteva avere una probabilità di successo se si fossero verificate alcune condizioni fondamentali: da una parte la più grande solidarietà, lealtà e trasparenza nell’azione amministrativa e, dall’altra, coinvolgimento sulle progettualità dell’intero consiglio. Si ritiene, evidentemente, che almeno qualcuna di queste condizioni non si sia verificata. O, forse, non si potevano affatto verificare, neppure in una situazione complessa, perché, da che esiste la politica, non c’è forza che, per quanto generosa, lasci in vita una minoranza.
2) Tra gli altri motivi, però, quello che ritengo fondamentale è che è in atto, da alcuni anni, una guerra fratricida, sorda e senza quartiere che ha motivazioni profonde. Sarebbe ben curioso che le scelte strategiche di un partito, nella fattispecie l’UDEUR, fossero assunte sull’onda dell’emozione suscitata da un volantino. Non è credibile. E, allora, ci deve essere dell’altro. Le persone io le conosco e so dove sono nate politicamente: sono nate nella Democrazia Cristiana. Una di esse, anzi, è stata il segretario dell’ultima Democrazia Cristiana a Guardia. Hanno aderito, poi, al Partito Popolare ed infine alla Margherita. E qui si interrompe un percorso che naturalmente avrebbe dovuto condurre al Partito Democratico. Perché queste persone non sono dirigenti, come sarebbe dovuto essere logico, del PD? La ragione è molto semplice: perché sono andate via dalla Margherita, ovvero, come più volte esse stesse hanno dichiarato, sono state costrette ad andarsene. La politica, si sa, è fondamentalmente gestione del sottogoverno. Molti di coloro che “fanno politica” hanno aspirazione alla gestione del sottogoverno che è in sé legittima quando implica una rotazione negli incarichi. Quando, invece, questi sono appannaggio sempre dello stesso dirigente, fatalmente si conduce all’asfissia chiunque tenti di emergere e si dice in gergo che “non si fa crescere nessuno”. A Guardia , poi, si è raggiunto il parossismo, tanto che si tenta in ogni occasione di costruire partiti a base familiare per non avere antagonisti. Questo è successo a queste persone, che tecnicamente sarebbero dovute essere non solo dalla mia parte, ma nel mio stesso partito e che ora mi ritrovo addirittura nello schieramento opposto. Chi porta questa responsabilità dovrebbe fare molti “mea culpa” ma temo che il pelo sullo stomaco sia troppo spesso perché questo avvenga. E anche perché, se le cose si manipolano, come di prassi, a dovere, si può far apparire ragione anche il torto più marcio. Di qui la guerra. Della quale la prima vittima sono stato io stesso. Ma non tanto per il venir meno alla parola data per iscritto, quanto per la mancanza di rispetto che colpiva direttamente la mia immagine. Ma, come si dice, chi più capisce più deve comprendere. Ed è toccato a me comprendere. Adesso,tuttavia, sono stanco di questo scontro che non finisce più e che va a tutto detrimento della collettività. E’ venuto il momento di dire chiaramente qual è l’obiettivo a cui si punta.
3) Sulla scorta dell’orientamento emerso nella riunione di cui innanzi, ho ritenuto, con un semplice ragionamento, che la nostra delegazione dovesse avere la più ampia possibilità di negoziato e ciò si può ottenere con un azzeramento dello status quo. Io ho fatto la mia parte, autonomamente perché sono stanco anche delle soverchie chiacchiere inconcludenti. Mi auguro che anche gli altri facciano altrettanto. Semplicemente, per quanto mi riguarda, il problema della rinuncia a qualcosa non verrà a cose fatte.
Raffaele Garofano