martedì 11 novembre 2014

Per decenza



“Cosi non può andare”, perché i dati sono impressionanti. Quando ho visto la Finanziaria ho detto: pregate che non nevichi. Ho visto le tabelle che riguardano le province e ci sono situazioni anche peggiori. Qui bisogna capire se abbiamo voluto abolire le province o gli spartineve? Ma questo è il frutto avvelenato di una malattia: l’ideologia. E di una bolla demagogica micidiale che su questo tema, invece di essere preso dall’alto doveva essere preso nello specifico e in prospettiva di area vasta. In questo modo abbiamo solo sbaraccato e detto ai sindaci: pensateci voi. Ora non resta che prendere tempo, trovare i soldi, perché non vedo altra soluzione. Non sono comunque disposto ad accettarlo. Bisogna reagire. Quando arriverò a Roma tirerò qualche accidente”.
Chi lancia questo grido di dolore per le province italiane, prima abolite a parole, poi svuotate di qualsiasi elemento di sovranità popolare e infine, con la legge di stabilità, private dei fondi necessari per assolvere alle loro funzioni principali?  E’ forse Beppe Grillo? Qualche pentastellato? Un oppositore del governo Renzi? Qualche intellettuale fuori controllo?
No, lettori, è l’ex segretario del PD Pierluigi Bersani in un incontro, tenutosi in questi giorni, tra i sindaci e i parlamentari della provincia di Piacenza.
Nessun rimpianto per la democrazia calpestata, molti per i soldi decurtati da non poter spendere in servizi foraggiando clientele.
Dal governo Monti, sostenuto dal PD e dal suo segretario di allora Pierluigi Bersani, in poi  tutte le riforme impopolari sembrano non avere più una maggioranza che le ha proposte e approvate in parlamento, sembrano essere figlie di nessuno o degli altri, gli avversari politici. E invece i numeri e gli atti parlamentari parlano chiaro e non ci si può sfilare dalle proprie responsabilità e dai propri atti senza cadere nella vera malattia politica: l’opportunismo, l’essere filogovernativi a Roma e oppositori in provincia, progressisti nelle piazze e conservatori al governo, per il popolo nei cortei e per il grande capitale nelle stanze damascate del potere.
All’ex segretario on. Bersani chiediamo, allora: come ha votato quando in parlamento si è approvato la riforma del collega e compagno di partito Graziano Delrio?, come hanno votato i 100 parlamentari scelti da lui medesimo per garantirgli una “tranquillità” parlamentare e governativa in caso di vittoria del PD alle elezioni ultime?, come ha votato la sinistra PD?
O crede l’on. Bersani che il popolo sia veramente bue, disposto a credere qualsiasi “verità” che gli venga sventolata?
Eppure le elezioni passate avrebbero dovuto insegnare qualcosa: una grandissima parte dei cittadini non ha ritenuto credibile la sua opposizione, non ha ritenuto diversa la gestione delle amministrazioni PD rispetto  a quelle PDL, non lo ha ritenuto capace di avviare quei cambiamenti veri di cui l’Italia necessita. Una vittoria risicatissima, dello 0,5%, non può far dimenticare questa realtà.
La non credibilità, passata e presente, del PD è da collegarsi proprio a questi comportamenti contraddittori che lo hanno segnato sin dalla nascita e che hanno allontanato centinaia di migliaia di iscritti e di elettori al di là delle cifre pubblicitarie spacciate come sondaggi : idealità e spregiudicatezza,  progettualità e tessere,  competenze e fazioni, novità e coaptazione. Oggi l’unico collante che tiene in vita questo aggregato eterogeneo e conflittuale (Bersani docet) è il potere; perderlo significa dissolversi, rinunciarvi, per far chiarezza al proprio interno e magari continuare ad esistere, è fuori da ogni prospettiva immediata.
Oggi ai cittadini, alle persone libere e responsabili  di questa nazione spetta il compito arduo di dare una nuova prospettiva storica, politica e culturale all’Italia. I responsabili del disastro non possono essere i salvatori, così come vogliono accreditarsi, la malattia non può essere la cura e il potere, con buona pace di  Giulio Andreotti, sta logorando chi ce l’ha.
Angelo Mancini