La forza di un partito politico sta nella sua efficacia, nella sua capacità di saper dire ciò che ha da dire. Esistono, infatti, progetti politici formalmente perfetti, ma incapaci di coinvolgere i loro stessi destinatari; al contrario, vi sono idee e programmi politici pieni di errori e di ingenuità, che, tuttavia, attraverso il tempo, hanno saputo e sanno comunicare tutta la loro intatta vitalità. Anzi, sembra quasi che l’incompiutezza conferisca loro un potere superiore a cui non ci si può sottrarre se li si affronta con una certa dose di apertura mentale: questo era e deve essere il bing bang democratico!
Ebbene, nel panorama politico locale, il PD, così come è stato immaginato, realizzato e confezionato, non riesce ad affascinarmi. Ciò che vedo e percepisco non solo non è minimamente sovrapponibile al mio modo di concepire la politica, l’amministrazione, il lavoro, la quotidianità e tutto ciò che in qualche modo è relazione, ma addirittura esorbita dalla mia sfera emotiva e non può in alcun modo coinvolgermi, neppure sul piano dell’appartenenza ad una certa area politica.
Ero convinto che la c.d. battaglia delle idee, come è stato scritto dai padri del PD, si potesse vincere almeno qui, in questa piccola comunità, ma purtroppo non è stato così.
E’ sotto gli occhi di tutti, infatti, lo slittamento verso l’oligarchia della rappresentanza politica, la commistione tra potere politico e interessi personali e, soprattutto, il deficit di rappresentatività di chi, fuori da ogni controllo democratico, occupa strumentalmente i centri decisionali per imporre il suo diktat.
Il partito che si è voluto è profondamente retorico, non ama l’elemento dialettico della discussione nell’agire politico, non accetta la società civile nella sua funzione essenziale di selezione dei bisogni, degli interessi e degli ideali, ma è ancorato ad una visione decisionistica della politica, così spietata da ritenere la partecipazione l’antitesi delle istituzioni.
La dimostrazione di quanto vado affermando sta nel fatto che il voto (elezioni politiche, amministrative, primarie) non è inteso come “un modo per governare insieme con ruoli e poteri distinti” o una “procedura di comunicazione tra elettori e candidati”, ma un mezzo per imporre (ora con inutili tessere, ora con scambio di favori) il proprio modo di intendere la politica, al quale, magari, fa da corollario la richiesta di resa incondizionata alla minoranza dissidente, affinché il potere sia pressoché assoluto.
Non riesco proprio a vedere quel partito vero che immaginava, per esempio, Romano Prodi, “disciplinato da regole, tutto il contrario dei partiti oligarchici e personali, a vocazione generale”; anzi: quel partito che doveva fare “sintesi tra culture un tempo lontane e distinte, rimarginare divisioni e ferite antiche di un secolo”, oggi non è patrimonio di tutti gli italiani, ma patrimonio personale per gli appartenenti alla solita nomenclatura ed eredità dannata per quei cittadini che chiedono e non ottengono il rispetto delle regole che è una delle garanzie del processo democratico.
A tal proposito, va sottolineato che se, come è (o dovrebbe essere) noto, una regola o un insieme organico di regole (per esempio: Statuto del Pd, Codice Etico) sono efficaci solo quando sono sentiti come imperativi da tutti i destinatari, non solo è illegittimo, ma è anche un’offesa alla intelligenza e alla dignità di quei cittadini che si sono liberamente associati al PD “per concorrere con metodo democratico” (art. 49 Cost.) a determinare la politica locale, comminare e revocare “in contumacia” abnormi sanzioni in via riservata a degli iscritti che chiedono soltanto un luogo dove poter discutere per far sentire le proprie ragioni (senza pregiudicare i rapporti personali e senza offesa per nessuno, ma la riservatezza spesso è sinonimo di omertà).
Ciò posto e considerato, non voglio e non posso accettare il perdono che mi vien concesso da Lor Signori con la magnanimità che li contraddistingue, perché non si può chiedere a chi ha ragione di far finta di nulla, mentre chi è responsabile di continue “MESCHINITa’ pOLITICHE” (compreso l’abigeato partitico in occasione delle elezioni) non senta la necessità di chiarire la situazione e riprendere insieme il cammino su basi nuove e condivise!
Nessuno sta chiedendo un’analisi ab antiquo di quanto è accaduto, perché ciò porterebbe, come recita la nota teoria dell’equivalenza delle condizioni, a un “regresso all’infinito” (causa causae est causa causati) ma si vuole semplicemente che chi ha sbagliato se ne assuma le responsabilità!
E’ forse troppo chiedere che si spieghi apertamente, con parole chiare e trasparenti, quali sarebbero le “condizioni politiche” (?) che hanno determinato quei ridicula provvedimenti di sospensione e di riammissione al partito?
Sono certo che queste mie parole cadranno nel vuoto, perché io sono uno e gli altri sono duecento (sic!) e perché è tempo di guardare (demo)cristianamente avanti, ma nessuno può negare che questo Coordinamento (non so se in seduta riservata o allargata agli uditori) con l’umiltà e con la generosità politiche che gli sono proprie e con gli strumenti culturali che ha disposizione (visti i titoli accademici che ha sbandierato e ostentato in campagna elettorale) saprà darmi una risposta politically correct e questa volta, spero, audita altera parte.
Restando in attesa di un sollecito riscontro, come si suol dire, auguro accademicamente a tutti voi (e in particolare alle matricole comunali - elette e non elette - nonché ai nuovi sub-amministratori), un grandissimo: in culo alla balena!
Con Ossequi.-
Giuseppe Falato
(Dottore in Lingue, Scienze Politiche ... ex sospeso e riammesso in via riservata nel PD)
P.S. Qualora la Vostra risposta dovesse essere una nuova sospensione o addirittura l’espulsione, Vi prego di renderla pubblica unitamente alla “ragioni politiche” che la dovrebbero supportare. Grazie.
Sacrosanto altro che partito libero!!!
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