di Angelo Mancini. Intervengo, e su questo tema poi tacerò per sempre, per difendere Raffaele Pengue, quello da me conosciuto e frequentato negli anni romani, finito in questo tritacarne paesano, che non si giustifica, malgrado qualche "leggerezza" da lui commessa. Le persone vanno sempre e comunque salvaguardate.
Perché?! Perché non credo, e lo dico con sincero e sommo dispiacere, che lui sia l’autore del libro che tanto clamore ha provocato in questi giorni e, quindi, non meriti la pubblica gogna.
O Raffaele Pengue,"di Roma", come lo chiamavo negli anni in cui l’ho frequentato, e di cui ricordo la squisita ospitalità familiare, ha fatto un meraviglioso e strabiliante percorso da autodidatta, alla Gavino Ledda, tanto per intenderci, oppure è un nome preso in prestito, fittiziamente usato da altra persona, dotata, bisogna riconoscerlo, di grande spessore culturale.
Nel primo caso ne sarei felicissimo, ma, come un San Tommaso qualunque, vorrei delle prove certe, che fino ad oggi sfortunatamente mancano, per complimentarmi vivamente con lui.
Nel secondo caso gradirei conoscere la persona, perché uno pseudonimo non artistico, che serve solo a celare la vera identità, è un escamotage al di sotto del suo talento, che viene offeso e degradato a un surrogato di presunta, altezzosa e narcisistica superiorità.
Angelo Mancini
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